
Sorrisi e inganni

Titti Ferrando – Blog incostante di Poesia
C’è sempre qualcosa di pagano
in noi che malvivendo giorni
ignoriamo le ragioni degli altri
e inventiamo dei per paura
della morte.
S’attrista l’uomo solo
che calpesta la sua ombra
fra le ortiche dell’argine.
Le cavalle si respirano
muso a muso
odorando l’aprile al di là
dei fianchi.
Il riconoscersi racchiude l’infinito.
.
Mi trovo una tana, ogni tanto,
un posto così solitario che anche
le volpi annusano in sospetto.
Disordino intorno a me
le grandi cose e i piccoli niente,
le stagioni dei dispiaceri
tutti gli addii della mia vita
l’erba dolce sul sentiero di casa
e tre piccole foglie d’alloro.
E lo spazio si dilata nella stretta
di tempi imprecisi
perché tutto succede nello stesso
istante. Nello stesso istante
l’uccello muore e vive. E canta.
Siamo noi che ci chiediamo come.
Il buio si riprende i corpi.
La morte non ritarda
solo a volte si sdubbia nei fossi
che non hanno germogli
ma solo voli e voli e ancora voli
da volare soli.
Adesso mi dispiace
che qualcuno
non mi abbia toccato
che qualcun’altro
lo abbia fatto per un tratto breve
chiudendomi dentro alle parole.
Il tempo riempie i vuoti e scava
tutte le mie età sotto la sabbia
come un bambino
senza infanzia
e senza inverno.
Sulla cima del ramo c’era un uccello
c’era un uccello sulla cima del ramo.
C’era un uccello.
Sulla cima del ramo c’era un uccello.
Il ricordo si fa pensiero in questo cielo
facile d’estate, oltre la memoria dei muri
in cerca di te che insegui lune.
Sulla cima del ramo c’era un uccello
c’era un uccello sulla cima del ramo.
Sulla cima del ramo c’era un uccello.
Per non perdersi si ripassava a pezzi.
Si cercava le mani, scriveva per fame
che il tempo era fermo sugli scaffali
i sorrisi di famiglia nelle cornici.
Una notte, con la mente in furia,
cercò il senso dei vicoli
e dei suoi amori pieni di buchi.
Si sentì così rarefatta
che non udì più la voce della sua fame
e si lasciò cadere aggrappata a un urlo.
Stretta tra due lune _ da allora stette zitta.
E nessuno disse niente.
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